di Rosalba Lupo
I VICERÉ Liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Federico De
Roberto con SEBASTIANO TRINGALI e con Rosario
Minardi, Francesca Ferro, Rosario Marco Amato, Nadia De Luca, Giampaolo
Romania, Francesco Maria Attardi, Elisa Franco, Pietro Barbaro, Giovanni
Fontanrosa, Alessandra Falci, Giuseppe Parisi, regia GUGLIELMO FERRO.
I Vicerè stanno alla Storia del Nostro Paese ( in generale, non
solo di quella del Meridione o della Sicilia) come i Buddenbrook stanno a
quella tedesca: un affresco stupefacente delle trasformazioni, degli inganni,
degli equivoci, dei dolori, delle miserie, degli appuntamenti mancati e dei
fallimenti, lungo due generazioni. La famiglia degli Uzeda attraversa la faglia
più clamorosa della nostra gestazione nazionale, dal remoto baroque dei Borbone
alla scellerata modernità piemuntes. Pubblicato nel 1894 a Catania, dopo un
percorso travagliato e soffertissimo, segna, con l’insuccesso clamoroso, tutta
la carriera di De Rosario Minardi,
Francesca Ferro, Rosario Marco Amato, Nadia De Luca, Giampaolo Romania, Francesco
Maria Attardi, Elisa Franco, Pietro Barbaro, Giovanni Fontanrosa, Alessandra
Falci, Giuseppe Parisi. I Vicerè stanno alla Storia del Nostro Paese ( in
generale, non solo di quella del Meridione o della Sicilia) come i Buddenbrook
stanno a quella tedesca : un affresco stupefacente delle trasformazioni, degli
inganni, degli equivoci, dei dolori, delle miserie, degli appuntamenti mancati
e dei fallimenti, lungo due generazioni. La famiglia degli Uzeda attraversa la
faglia più clamorosa della nostra gestazione nazionale, dal remoto baroque dei
Borbone alla scellerata modernità piemuntes. Pubblicato nel 1894 a Catania,
dopo un percorso travagliato e soffertissimo, segna, con l’insuccesso clamoroso,
tutta la carriera di De Roberto; in questo, accomunandolo al suo illustre
omologo Tomasi di Lampedusa ed al suo Gattopardo, umiliati entrambi in vita,
glorificati post-mortem. La trasposizione scenica – ricca, viva, dinamica,
kolossal – riesce a conservarne la freschezza narrativa, l’umorismo nero, lo
stupore dell’intreccio narrativo; costruendo uno spettacolo umano,
presentissimo e vitale sia nelle scene corali che in quelle più intime. L’Io
narrante è affidato al personaggio più strepitoso del romanzo : Don Blasco,
religioso per interesse, puttaniere, baro alle carte e nella vita, straripante
di vizi, bulimico di cibo, vino, donne, tabacco e – soprattutto – di
intelligenza e ironia. Un sorprendente anti-eroe, quale mai si era visto (e né
mai se ne rivedrà) nel panorama manzoniano della nostra narrativa maggiore.
Italianissimo nelle sue genialità quanto nelle miserie.
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